Castelvetere sul Calore, storia di ostinata resistenza

Il viaggio nel tempo, tra miracoli e farina
di Edy De Michele
Giunse un giorno in cui onorai un vecchio invito a recarmi a Castelvetere sul Calore. La proposta aveva come promessa un “viaggio esperienziale” ed era arrivato il momento per macinare un po’ di chilometri e regalarmi questa avventura. Seduta all’ombra di un rigoglioso albero di fichi, a pochi passi da una prestigiosa dimora, mi siedo a contemplare la quiete del meraviglioso borgo, in parte disabitato. Il silenzio rimbomba tra le pietre delle vecchie mura e l’immaginazione mi riporta alla vitalità del luogo nei tempi antichi. La piccola strada è attraversata da un “giovane vecchio” che mi guarda con la diffidenza tipica “dell’età”, mentre riesco quasi a scorgere nella sua mente, la curiosità di sapere “a chi appartieni”. Mi gioco la carta migliore: accenno un sorriso smagliante e gli chiedo «Sono qui per scoprire il tuo paese, cosa hai da raccontarmi?». Mi invita a consumare ancora una volta quella strada percorsa da anni: chiave delle bellezze, custode di storie e storielle, testimone di aneddoti e curiosità. Di fronte, la Scala Santa, un’imponente scalinata in pietra con alla sommità un altarino, tappa di preghiera nella giornata del Corpus Domini. Luogo caratteristico, anche perché fino agli anni novanta utilizzato per la domenica del purgatorio, che tradotto in gergo castelveterese vuol dire “asta di offerte volontarie e in natura, realizzate con l’obiettivo di raccogliere fondi per la chiesa e per i più bisognosi”. Senza spostarsi di un solo metro possiamo ammirare il portone diocesano: a Castelvetere sul Calore, Maria ha voluto una casa in più. Lo chiese ad una vecchietta del posto e il miracolo venne esaudito solo dopo quello della neve: era il 28 aprile di mille e più anni fa. Questo giorno da allora non è mai stato più un giorno qualsiasi. Il 28 aprile per il castelveterese rappresenta il tutto, il nucleo intorno al quale gravita una intera comunità, onorato con una festa unica ed inimitabile. In due settimane vengono preparati più di cinquantamila tortani, mentre le giovani donne, identificanti la Madonna, accompagnano in processione la distribuzione porta a porta del pane. Simbolo di donazione e condivisione della prosperità fanno del 28 aprile qualcosa di ardua descrizione, ma assolutamente coinvolgente, se vissuta.
Ma Castelvetere sul Calore lega passato e futuro con un presente che fa del Carnevale un evento al limite delle capacità di una comunità, soprattutto se così piccola numericamente e anziana anagraficamente. Imponenti carri costruiti in cartapesta e altre tecniche collaudate negli anni, celate spesso da segreti e misteri, rispettano la tradizione del carro stesso, ma sfidano le leggi sacre della geometria per poter superare la prova e passare “mmiezzo o stritto”.
Il Carnevale di Castelvetere non è solo la sfilata dei carri allegorici. Decine di giovani e meno giovani sfilano in sontuosi balletti tra un frastuono assordante. I costumi e le coreografie dei balli sono frutto della fantasia e dell’originalità dei partecipanti ed esprimono al meglio la creatività del castelveterese. Da non tralasciare la maccaronara, un piatto tipico che affonda le sue origini nei secoli e che è stato proposto e promosso con il nome di “Sagra della maccaronara” già prima del terremoto del 1980. Verrebbe da sedersi a tavola, vista l’ora, ma mi limito a chiedere cosa sia. Un piatto di pasta, un impasto di acqua e farina con la forma di un lungo e doppio spaghettone triangolare, grazie ad un particolare attrezzo (la “maccaronara”, da cui prende il nome la pasta stessa). Il tour castelveterese continua e si arriva ad un luogo magico, ma visibilmente reale. Pochi i gradini da salire ed ecco che, oltrepassato un arco, esplode la cartolina del borgo di Castelvetere. Uno scorcio incantevole, recuperato e ristrutturato, trasformato in mini alloggi gestiti dall’albergo diffuso, come rivalsa dopo la distruzione del terremoto del 1980. Il borgo è storia, arte, quiete. È l’istantanea del vivere bene in un piccolo paese. La diffidenza iniziale sfuma attraverso i vicoli del borgo, tra il proferire di oratorio e mummie, di chiesa madre, dell’eremo di San Michele o della cappella cimiteriale fuori dal centro abitato. È tempo di tirare le somme. Castelvetere Sul Calore, come tanti piccoli paesi, ha difficoltà a sopravvivere, nel suo “morire”. A Sant’Antuono conserva la tradizione dei falò, ogni Carnevale supera il precedente, il 28 aprile compie un miracolo per realizzare un evento da record, il 2 luglio onora la sua Madonna e la settimana dopo organizza la “festa dell’ucciolo”. Quaranta sono gli anni della maccaronara. Se un paese “morto” conserva tutto questo, che “muoia” 100 anni e più ancora così.