Marianna “BigMama” Mammone
Storia, progetti e sogni dell’astro nascente del rap made in Irpinia
I critici sono entusiasti, il pubblico cresce giorno dopo giorno, le riviste di settore più importanti la cercano e l’hanno incoronata da tempo nuovo talento del rap italiano. Sono lontani i giorni in cui Marianna BigMama Mammone vinceva le gare di karaoke nelle feste di piazza a San Michele di Serino e cantava nel coro giovanile del Teatro Carlo Gesualdo. A vederla oggi, nei panni di una giovane donna di successo che produce i suoi brani a Milano affiancata dai grandi nomi del panorama rap indipendente (uno su tutti: Inoki), nessuno direbbe mai che tanta sicurezza ed energia siano nate da un percorso doloroso e intimo, quello di una ragazzina costantemente insultata per il suo corpo.
«Oggi questo genere di atteggiamento ha un nome, si chiama fat phobia, “paura” del grasso – ci racconta –La nostra è una società che fa sentire in colpa le persone quando mettono anche solo un chilo. Così, chiunque non rientra in determinati canoni viene bullizzato, soprattutto le donne da parte degli uomini. Chi non soddisfa gli standard di perfezione del loro sguardo “merita” gli insulti o anche di peggio, e posso testimoniarlo. Anche i medici si comportano in modo superficiale con chi è in sovrappeso. Io stessa, dopo una visita, sono stata rimandata a casa con una diagnosi di “stress da studio” e il consiglio di mettermi a dieta, mentre accertamenti più dettagliati hanno portato alla luce un problema di salute più importante, fortunatamente passato».
È per un’esigenza comunicativa personale che Marianna Mammone si è trasformata in BigMama, ma quell’hobby nato tra le mura di casa è ora un bel presente di successo, nonché una possibile strada per il futuro.
Ma come sei passata dal “bel canto” dei primi passi nella musica al rap?
Era il genere più facile e immediato per sfogarmi. A differenza di altri, come il pop, puoi mettere molto del tuo vissuto personale nella scrittura, tirare fuori tutto: quello che pensi, scrivi. Ho iniziato ad ascoltare rap nel 2013, nel passaggio dalle scuole medie al liceo. Ma le parole degli altri non mi bastavano, avevo bisogno di dire le mie, così ho cominciato a scrivere i miei brani e a registrarli in casa, ma non li facevo ascoltare a nessuno. Poi, delle mie amiche hanno ascoltato per caso dei pezzi che avevo sul cellulare e mi hanno incoraggiato a pubblicarli. Da lì, sono arrivate iniziative scolastiche dove ho cantato i miei brani. Abbiamo perfino vinto dei concorsi. E, fino a quando sono stata a scuola, andava bene così. La musica era un hobby e il liceo un obbligo.
Adesso, invece, vivi a Milano…
Frequento la facoltà di Urbanistica, un ambito che si incrocia molto con il mio stile musicale. Sono perfino stata invitata come ospite a delle conferenze proprio nella doppia veste di rapper e urbanista. L’università è il mio piano B, perché so quanto è difficile vivere di arte. Ho buoni voti, così riesco ad avere le borse di studio per mantenermi in una città molto cara. Ma ce la sto mettendo tutta affinché il mio futuro sia la musica e le opportunità che ci sono qui sono uniche.
Infatti, sei stata scritturata dall’etichetta Pluggers. Com’è nata la collaborazione?
Quando mi sono trasferita, ho cambiato il geotag dei freestyle che pubblicavo su Instagram da Avellino a Milano, e subito mi hanno contattato dei ragazzi che hanno una piccola etichetta e uno studio di registrazione. Volevano propormi un affitto della sala per incidere i miei pezzi, ma io ho subito chiarito che non avrei potuto permettermelo. Hanno deciso di investire su di me e di collaborare gratuitamente. Ho pubblicato 3 freestyle che non sono andati fortissimi negli ascolti, ma sono arrivati alle persone giuste del settore: Pluggers. Ho iniziato a collaborare con loro nel settembre 2019.
Sei diventata una bandiera del messaggio bodypositive. Ti senti un modello per chi ti ascolta oppure preferiresti parlare solo di musica?
Mi piace essere fonte di ispirazione per altre persone, ma non è stato voluto e non è il mio obiettivo. Nella musica sono egoista, la faccio per me. Se poi riesco, in questo modo, a fare colpo e a portare un messaggio, meglio. Ma non nasco come un’attivista che sente il dovere di dire certe cose. È tutto molto naturale e in questo mi ha aiutato la trasformazione della mia autoironia. Prima era di difesa. Mi prendevo in giro da sola prima che lo facessero gli altri, oppure per dare di me l’idea di una che “se non è bella, almeno è simpatica”. Adesso è di provocazione, mi piace dare una scossa su determinati temi, stimolare delle reazioni. Ma spero che prima o poi si passi oltre. Anche perché nei miei pezzi affronto tante questioni ma, spesso, si riconduce la mia produzione soltanto al bodypositive. Sono considerata una paladina e, se da un lato mi fa piacere, dall’altro non coincide al 100% con quella che sono io. C’è molto altro.
Il tuoi genitori accettano di buon grado una figlia “rapper” o avrebbero preferito per te una carriera più “regolare”?
Il loro sogno è quello di tutti i genitori: che io possa avere un futuro certo, senza problemi economici. Mi hanno sempre incoraggiata nella musica, ma mi hanno fatto promettere che avrei sempre studiato. Oggi che stanno arrivando bei risultati, sono molto orgogliosi. Mio padre manda i miei pezzi ai suoi conoscenti, ai colleghi, mi presenta come BigMama! Mia madre è più riservata, ma anche lei è molto felice per me.
Parliamo dell’Irpinia: per te, terra di opportunità o limitante?
Per la mia musica, un paradosso. Se non fossi nata qui, forse non avrei mai intrapreso questo percorso perché non avrei avuto la stessa spinta a scrivere. Il disagio provato in questo contesto è stato fondamentale. Resta un limite – ed ecco perché chi vuole intraprendere una carriera artistica si sposta altrove – perché non si investe realmente in opportunità culturali. Nel mio genere, le poche realtà amatoriali che si vengono a formare sono molto chiuse. Io non sono mai riuscita a ritagliarmi uno spazio, ad essere accettata dai rapper locali che, anzi, ingrossavano le fila di chi mi prendeva in giro. Inutile dire che adesso che mi intervista Rolling Stones, mi seguono e mi scrivono su Instagram.
Come hai vissuto la pandemia?
Nella prima fase, era iniziata da poco la collaborazione con Pluggers e dovevo consegnare dei pezzi, quindi ho scritto molto, anche se con difficoltà. Prendendo spunto dalla vita quotidiana, quando questa è limitata, è complicato. Ci sono stati giorni in cui pensavo di aver sbagliato tutto, di non essere poi così capace. Ma la differenza con chi fa musica per hobby è questa, non si può “aspettare l’ispirazione” dall’alto. La seconda fase invece è stata più creativa. La situazione meno restrittiva ha contribuito.
Progetti per il futuro?
Oltre ai singoli che stanno uscendo sulle varie piattaforme, ho firmato una collaborazione Sony per Pluggers. Ci saranno dei live, e sto lavorando a tante cose nuove.
Parteciperesti mai al Festival di Sanremo?
Il rinnovamento nelle scelte di generi, stili, artisti, delle ultime edizioni, mi ha fatto cambiare idea rispetto a qualche anno fa. Sì, mi piacerebbe molto un giorno calcare il palco dell’Ariston.