In Irpinia la più grande scultura monumentale d’Europa
Il messaggio di speranza della chiave “storta” di Milot
Milot è una frazione del comune di Kurbin, in Albania. Quando Alfred Mirashi ha iniziato a percorrere la sua carriera artistica, ha pensato di usare come pseudonimo il suo paese d’origine, come alcuni grandi del passato – primo su tutti Caravaggio – da lui sempre ammirati. Sbarcato a Brindisi nel 1991, a soli vent’anni, insieme a centinaia di altri profughi, sapeva quello che voleva diventare. Ciò che non poteva immaginare, è che sarebbe stato l’autore della più grande scultura monumentale permanente mai realizzata in Europa.
La costruzione della “Key of Montevergine” – fortemente voluta dal presidente della provincia Domenico Biancardi – è, infatti, alle battute finali, ed è palpabile la fibrillazione in tutti coloro che stanno partecipando alla sua realizzazione. Quest’opera entrerà nella storia e, con lei, lo farà l’Irpinia.
La chiave che verrà installata a Mercogliano, alle porte della città, è la terza scultura permanente di questo genere realizzata da Milot (dopo quella di Lizzanello e quella di Cervinara, dono dell’artista alla comunità che lo ha accolto e aiutato dopo il suo arrivo in Italia). La forma dell’impugnatura ricorda le tre arcate dell’Abbazia di Montevergine, e il cappello richiama la silhouette di un castello, che ogni paese d’Irpinia possiede. Inoltre è ricurva, come una culla, a rappresentare l’accoglienza del Mediterraneo. Ma, come tutte le sue chiavi, ha una particolarità nel gambo: «È storta, attorcigliata, non serve. È un messaggio: non chiudete, apritevi alle mescolanze, alle possibilità. Tutti devono riuscire a realizzare i propri sogni. La chiave è un oggetto universale, chiunque sa di cosa si tratta. Fin da piccoli ci viene insegnato che in tutte le situazioni bisogna “trovare la chiave giusta per aprire la porta giusta”. Veniamo riempiti di pregiudizi. Le mie chiavi, invece, sono inutilizzabili. Con la mia idea voglio rompere gli schemi».
Queste opere sono tutte realizzate in acciaio cor-ten, perché «non si rovina e non ha bisogno di manutenzione: questo materiale più invecchia e più è bello. Il colore cambia in base al tempo che passa, oppure alla luce e al clima del giorno. Plasmato come chiave, assume un ulteriore significato simbolico: sembra un oggetto arrugginito, quindi ancora più inservibile».

Le fasi della costruzione le spiega Liberato Zurlo, il coordinatore dei lavori nonché patron dell’omonima ditta – la Metal Zurlo – che sta provvedendo alla realizzazione materiale dell’opera: «La prima fase ha riguardato la creazione della struttura portante. Abbiamo impiegato circa 200 quintali di materiale, ricoperto da oltre 700 mq di lamiere di cor-ten spesse 2 mm. Il peso finale di tutta la scultura sarà di circa 450 quintali, mentre per la lunghezza si parla di 40 metri.I vari pezzi verranno murati a terra col calcestruzzo e assemblati tra loro. Siamo a lavoro ininterrottamente da tre mesi e non vediamo l’ora di vedere il risultato. Come ditta abbiamo realizzato anche la chiave di Cervinara, ci mettiamo professionalità e passione perché crediamo nel progetto, non per arricchirci».
«Il valore di questa scultura è incalcolabile – aggiunge Michele Stanzione, direttore artistico dell’iniziativa – L’opera è sistemata in un punto strategico, all’ingresso della città di Mercogliano, lungo la via principale che conduce dall’autostrada verso Avellino oppure verso l’Abbazia di Montevergine. Sia i cittadini che i visitatori non potranno ignorarla e verranno travolti dal suo messaggio di apertura che quella zona, teatro di manifestazioni come la Candelora, ha già fatto suo. Gli irpini sono un popolo ospitale, dove perfino la chiesa è aperta alla diversità. Volevamo dirlo a tutti».
Alfred Mirashi ha vissuto sulla propria pelle, anche in patria, il peso dell’esclusione: «La mia famiglia era obbligata a vivere nei gulag perché si era rifiutata di cedere “spontaneamente” le sue proprietà al regime comunista. Non potevamo frequentare l’università ed eravamo costretti ai lavori forzati. Sono venuto in Italia perché volevo studiare arte e sì, all’inizio ho conosciuto il razzismo. Quando dalla Puglia ci smistarono in diverse zone d’Italia, io capitai a Benevento e lì alcune ditte di Cervinara vennero a cercare manovalanza. Serviva gente che sapesse lavorare il legno. Mi offrii, immaginando che le mie capacità di scultore mi avrebbero aiutato, e così è stato. Ma ho fatto tanti altri lavori, non mi sono mai tirato indietro. Grazie a quello che sono riuscito a risparmiare e all’aiuto di tanti amici che mi sono fatto in Irpinia, dopo qualche tempo sono riuscito a diplomarmi all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano».

Oggi Milot è un pittore e uno scultore affermato. Vive a Firenze, insegna in Cina ed espone in tutto il mondo, ma non dimentica mai quel piccolo paese della Valle Caudina che gli ha dato sostentamento e fiducia: «Nel giro di una decade voglio fare di Cervinara una vera città d’arte. Ogni anno invito colleghi di fama internazionale a donare una loro opera che viene installata in un punto del paese. Abbiamo iniziato con il Lupo di Liu Rouwang e siamo prossimi al montaggio del “Glaudium ad mundum angelicum pace” di Stefano Girotti».
È importante, per Milot, guardare al futuro con ottimismo: «Il coronavirus ha di nuovo chiuso i confini, ha portato sofferenza, difficoltà a sopravvivere non solo per la malattia, ma perché tanti settori hanno dovuto fermarsi. Ma bisogna essere positivi, credere nella bellezza, avere coraggio. Ce la faremo. Il grande problema dell’Italia resta la burocrazia, scoraggia le azioni. Agli artisti e agli amministratori che hanno voglia di fare dico: non demordete».