Sandro Piccinini, il Gentlemen del calcio

 Sandro Piccinini, il Gentlemen del calcio

Alessandro (Sandro) Piccinini è nato sotto il segno dell’Ariete a Roma il 17 aprile 1958. Conosciutissimo dal grande pubblico per la sua attività di giornalista e conduttore televisivo in ambito sportivo, è appena tornato in video su Sky, dopo due anni “sabbatici” di assenza. Uomo di grande cultura e garbo, si è sempre distinto per una comunicazione capace di emozionare con eleganza e senza eccessi, rispecchiando pienamente la sua personalità, contraddistinta da educazione, gentilezza e un certo “aplomb” inglese.

Alberto Piccinini

Suo padre Alberto era un calciatore (Roma, Salernitana, Palermo, Juventus, Milan e Nazionale). Anche lei ha dei trascorsi calcistici.

Evidentemente era nel DNA ma lui, essendo un professionista, non mi ha mai spinto o illuso, perché sapeva bene quanto potesse essere difficile come carriera: si è limitato a darmi consigli e a indirizzarmi verso le scelte migliori. Fino ai 14 anni ho pensato di potercela fare, tanto che amando il mare, avevo persino scelto di andare a giocare per il Genoa o il Napoli. Poi lui è venuto a mancare e io ho perso allo stesso tempo mio padre, il mio idolo e l’entusiasmo.

Sua madre Annamaria ha cresciuto due figli da sola (ndr. Il fratello Stefano è mancato in un incidente di moto a 28 anni).

È stata eccezionale, pur lavorando è stata sempre estremamente presente e attenta, ci ha fatto studiare entrambi e ci ha trovato anche il lavoro. La mia carriera è nata da una sua intuizione: in casa da piccolo giocavo a fare il telecronista e lei mi propose come stagista ad alcuni suoi colleghi che avevano creato una piccola redazione sportiva. Loro accettarono e io trovai, senza saperlo, la mia strada. Mi ha supportato psicologicamente ed economicamente, senza essere possessiva o invadente. Il nostro era un rapporto molto stretto e complice.

Cos’ha rappresentato per lei vivere gli anni di massima espansione delle reti Fininvest?

Una specie di favola. Cominciai da Tele Capodistria, che trasmetteva (anche in Italia) dalla Slovenia e che Fininvest aveva appena acquistato per farne un’emittente totalmente dedicata allo sport. Trasmettendo anche le coppe mi ritrovai improvvisamente a viaggiare e mi venne offerto un compenso economico tale che mia madre, quando glielo raccontai, era convinta che stessi scherzando. Allora Silvio Berlusconi era in piena ascesa e aveva appena comprato il Milan decidendo, quindi, d’investire sul calcio dandogli visibilità. Mi trovai letteralmente al posto giusto nel momento giusto: oggi non sarebbe possibile nemmeno per un telecronista di grande talento. Non ci sono più queste opportunità, perché quella che ho vissuto io è stata la Mediaset più bella di sempre.

Guida al campionato, al suo fianco c’era Maurizio Mosca.

Era un vero amico: quando ci incontrammo lui era già una grande firma della Gazzetta e io ero agli esordi. Ettore Rognoni (allora Direttore dello Sport) capì le sue potenzialità televisive e lo portò a Mediaset, creando questa strana coppia in cui io ero il conduttore serioso e lui “il guastatore”. Funzionò benissimo. Lui era un maestro di giornalismo, un vulcano d’idee e una persona di grande sensibilità, che mi manca moltissimo.

Arriviamo a Controcampo.

Ti racconto qualcosa che penso di non aver mai detto prima: nel 1995 mi venne affidata la telecronaca della finale di Champions League per la quale ottenni grandi complimenti. L’anno dopo la finale era fra la Juve (la squadra di mio padre) e l’Ajax a Roma (la mia città) e io davo per scontato che sarebbe stata mia invece, per la legge dell’alternanza, venne data a Bruno Longhi. Io, che ero una testa calda, decisi di licenziarmi (se mia madre fosse stata ancora viva non me l’avrebbe mai perdonato) e per due anni tornai a lavorare a Teleroma 56, dove avevo iniziato la mia carriera. Nel 1998 Ettore Rognoni mi ricontattò e mi propose di condurre Controcampo, un programma nuovo in cui mi venne data grande autonomia decisionale, con autori validissimi, ospiti di grande livello e una formula innovativa che lo rese meno tecnico e più coinvolgente. Fu un successo clamoroso che si protrasse per 10 anni (ma sempre rinnovando annualmente) tanto che, gli ultimi due anni venne anche realizzata una versione pomeridiana: “Controcampo ultimo minuto”. Nel 2008 decisi di lasciare per tornare a fare solo le telecronache riappropriandomi, ancora una volta, della mia libertà e ricominciando a viaggiare.

Eppure, nel 2018, dopo 34 anni a Mediaset, decide di abbandonare anche le telecronache. Cosa l’ha spinta a lasciare e cosa a ritornare?

È stato un insieme di fattori: avevo seguito i Mondiali facendo anche la telecronaca della finale e questo da una parte mi aveva fatto toccare l’apice, ma dall’altra mi aveva svuotato di energie; nello stesso tempo Mediaset non era più la stessa e io non mi ci ritrovavo. Ho deciso di staccare la spina e mi sono dedicato ai viaggi e a me stesso. Quando Sky mi ha proposto di partecipare come opinionista a un programma serio, ben strutturato e condotto da Fabio Caressa, che è un grande amico, ho sentito che era la scelta giusta. Ho cambiato sia l’Azienda sia il ruolo: una doppia sfida accettata di cui sono molto soddisfatto.

Come ha vissuto il successo?

È una malattia che può dare alla testa, ma avendolo raggiunto presto con “Goal di notte” a Teleroma 56 quando sono arrivato alla televisione nazionale mi ero già immunizzato (ndr.ride).

Londra (dove oggi vive parecchi mesi all’anno) è il suo rifugio e una seconda casa.

Sì, è una città vivace, “elettrica”, bellissima, con grandi spazi che mi regalano la libertà che nasce dell’anonimato.

Ho la sensazione che per lei la libertà più che una scelta sia un bisogno.

È vero: in nome della libertà, a volte, ho fatto anche scelte irrazionali. È la mia indole: volevo sentirmi libero anche quando ero precario e quindi, razionalmente, avrei dovuto ricercare la sicurezza e la stabilità. Non riesco a fossilizzarmi in un sistema o in una situazione.

La connessione con il tema del viaggio, altra sua passione è evidente: ma cosa sta cercando?

Amo spostarmi senza meta, lasciandomi guidare dall’istinto, anche a costo di perdermi. Volendo sintetizzare potrei dire che sono alla ricerca dello stupore e della sorpresa.

Immagino che questo bisogno di libertà mal si concili con la vita privata.

È qualcosa con cui, purtroppo, ho dovuto fare i conti anche se ho avuto grande difficoltà ad accettarlo ma, alla fine ho capito, a malincuore, che la vita di coppia non fa per me. E questo mi è costato il rapporto con persone che per me erano molto importanti.

Invece avere un figlio a cui insegnare a fare il telecronista?

Non voglio essere ipocrita: in realtà non ho mai sentito il richiamo della paternità, la mia fortuna è che non ho rimpianti perché ho seguito quello che era il mio sentire, riconoscendo i miei limiti.

Illustrazione di Gaia Guarino

Alcuni suoi termini sono diventati dei tormentoni. Ma anche dei tormenti?

Sì, da una parte ti fa piacere, dall’altra è molto riduttivo rispetto al grande lavoro di preparazione di una telecronaca. L’uso di termini come “sciabolata” deriva da un’accurata ricerca per esprimere l’essenza di un’azione. Non può diventare un’etichetta del tuo lavoro.

Lo sport per i giovani.

È formazione e scuola di vita: insegna la disciplina, il rispetto dell’altro, il gioco di squadra, la correttezza, il confronto. Attraverso lo sport s’impara a condividere la gioia di una vittoria e a metabolizzare una sconfitta.

E anche una rivalsa verso la vita: lei ha vissuto in prima persona le gesta dell’Avellino in occasione del terremoto.

Quando è successo ero in onda e la rete (ndr. Teleregione) ci ha chiesto di lanciare degli appelli per la raccolta di generi di prima necessità. Fu qualcosa d’incredibile: nel giro di poche ore la redazione traboccava di cibo, coperte, tende e quant’altro. Per velocizzare la consegna, organizzammo una spedizione con un camion e due macchine e io, che conoscevo i luoghi, venni incaricato di accompagnarla. Non dimenticherò mai quella devastazione e quell’odore di gas e di morte. Feci dei collegamenti da Lioni, comune in provincia di Avellino raso praticamente al suolo, mentre ancora c’erano scosse di assestamento. Per mesi seguimmo gli eventi e tifammo tutti per l’Avellino; una grande squadra capace di arrivare in serie A giocando un calcio emozionante e spettacolare, che era diventato anche simbolo di rinascita.

Laura Corigliano

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