Mario Furlan e i City Angels

 Mario Furlan e i City Angels

Al servizio dei bisognosi e della sicurezza

Si riconoscono dal basco celeste (simbolo delle forze Onu portatrici di pace) e dalla giubba rossa, colore dell’emergenza, mentre perlustrano le strade delle nostre città, assistendo chiunque abbia bisogno di aiuto e contrastando la microcriminalità: sono i City Angels. Il fondatore di questa amatissima Organizzazione di Volontariato è Mario Furlan, uomo dal sorriso aperto e dolce, che nasconde però un’incredibile determinazione, fondamentale per realizzare la sua missione di vita: cercare di migliorare un mondo a volte spietato, partendo dagli ultimi, gli invisibili che non hanno una casa, un piatto caldo o una speranza per il futuro. Carismatico e schietto, Mario è anche giornalista, docente universitario di “Motivazione e crescita personale” e di “Comunicazione efficace, leadership e management”, ha scritto 10 libri di cui tre best-seller motivazionali e ha ideato il “Wilding”, l’autodifesa istintiva.

Partiamo dall’inizio: un passato difficile che ti ha plasmato, ma che poteva invece annientarti.

Alle elementari sono stato bullizzato pesantemente da bambini più grandi di me perché avevo difeso un ragazzino che veniva deriso per un difetto fisico. Successivamente ho reagito a questa situazione, che mi aveva distrutto psicologicamente, diventando un carnefice (o meglio un “giustiziere”) e vendicandomi, di chi mi aveva trattato male o di chi si accaniva sui deboli. Dopo alcuni anni abbastanza sereni, ho vissuto un altro periodo di profonda crisi, in cui mi sentivo frustrato, rifiutato e infelice (anche se, oggettivamente, non ne avevo motivo). Fu allora che cominciai a frequentare il centro sociale Leoncavallo, feci uso di droghe e diedi sfogo a tutta la mia rabbia interiore proiettandola all’esterno:  cercavo sempre lo scontro fisico e verbale, sia con la polizia, durante le manifestazioni, sia allo stadio tra gli ultrà, che oggi invece mi supportano con i City Angels e nel “Derby della Solidarietà”, facendo a gara per reperire beni di prima necessità (coperte, vestiti, sacchi a pelo, cibo a lunga conservazione, prodotti per l’igiene, etc.) da donare agli homeless.

Qual è stata la molla che ti ha spinto a cambiare la tua vita?

Da una parte il fatto che mi fossi innamorato di una ragazza, per cui preferivo trascorrere la domenica con lei invece che andare a fare a botte allo stadio, dall’altra che avevo trovato un lavoro che mi piaceva e non volevo rischiare di avere problemi con la giustizia.

Le arti marziali e l’autodifesa per te sono fondamentali, tanto che hai ideato il “Wilding”. In cosa si differenzia rispetto alle altre tecniche?

Sin da bambino ho avuto la passione per le arti marziali, anche per il fatto che ero bullizzato e mi era molto chiaro che avrei dovuto imparare a difendermi per non soccombere. Allora (erano gli anni ’70-’80) c’erano poche tecniche, soprattutto karate e judo, che ho praticato (così come molte altre successivamente), riscontrando però che sono tutte perfette in palestra, ma sulla strada, quando vieni aggredito di sorpresa e perdi lucidità per la paura, la situazione cambia e riuscire a reagire in modo appropriato non è così scontato. Di base consiglio sempre, se è possibile, di non arrivare allo scontro fisico, innanzitutto perché non si sa mai come può andare a finire, in secondo luogo perché anche se hai fatto arti marziali, ma non sei una persona abituata a picchiare, parti svantaggiato e infine perché purtroppo in Italia spesso chi si difende, se ha la meglio, rischia, di dover poi affrontare problemi legali: quindi se si tratta di consegnare un cellulare, il portafoglio o qualsiasi altro oggetto è meglio farlo senza discutere. Quando però lo scontro è inevitabile (per esempio nei tentativi di stupro,  pestaggi, aggressioni, etc.)  il Wilding è uno strumento formidabile perché va bene per tutti: per chi non ha preparazione fisica, bambini, donne, persone anziane e anche disabili, poiché si basa su mosse molto semplici e istintive (quando sei attaccato non hai il tempo di ragionare). In più lavoriamo molto sulla preparazione psicologica, per riuscire a reagire anche sotto stress e sulla prevenzione, per evitare di trovarsi in situazioni potenzialmente pericolose.

Quali possono essere i segnali di pericolo per strada?

Avendo fatto anche volontariato in carcere ho conosciuto parecchi criminali nella mia vita e ho chiesto loro in base a quale criterio scegliessero le vittime. La risposta è stata: “quella più facile”, di conseguenza la prima cosa che insegno nei miei corsi è come evitare di essere identificati come “prede ideali”, che sono essenzialmente quelle deboli e distratte. In  strada è fondamentale apparire sicuri, reattivi e concentrati, bisogna prestare molta attenzione a ciò che ci circonda, in particolare a chi appare “fuori contesto”: una mamma con la carrozzina, un uomo che porta fuori il cane, un giovane con i sacchetti della spesa, tendenzialmente, non rappresentano un pericolo. Al contrario qualcuno che, per esempio, non fa nulla se non osservare attentamente le persone, si posiziona in un posto isolato, poco illuminato o dove non ci siano vie di fuga, ci deve mettere in preallarme perché potrebbe trattarsi di un predatore alla ricerca della sua vittima. Da evitare anche chi che sembra sotto l’effetto di alcol o droghe, chi ha atteggiamenti minacciosi e i gruppi identificabili come bande.

Sei giornalista e docente di comunicazione efficace: in quest’epoca di grossi contrasti, quanto è importante comunicare?

La comunicazione è fondamentale per evitare problemi a tutti i livelli, dal personale al mondiale. Nei corsi di Wilding, per esempio, insegniamo a cercare di parlare con chi ci vuole rapinare o fare del male perché, se c’è un canale di comunicazione aperto, la tensione si abbassa ed è più difficile che la situazione precipiti. In generale si assiste a una polarizzazione del binomio “amico o nemico”, per cui se non condividi le mie idee  sei un avversario. Ci si concentra solo sulle proprie certezze, senza mai mettersi nei panni dell’altro per capire anche le sue ragioni. Oggi poi con i social la situazione è esasperata: ognuno dice la sua e alza i toni per attrarre l’attenzione e andare virale, spesso diffondendo anche fake news che suscitino emozioni forti, odio, paura e quindi interesse, in una spirale sempre più pericolosa.

Nel 1994 hai fondato a Milano i City Angels per una sorta di “chiamata”.

Sì, allora lavoravo come giornalista in Mondadori, in quella che allora era la redazione di “Noi” e che oggi è diventata “Chi”: un sogno che coltivavo sin da ragazzino. Eppure a un certo punto, sebbene fossi felice e gratificato da ciò che facevo, ho capito che non mi bastava: non volevo limitarmi a scrivere i fatti, ma anche cambiarli e correggerli. Forte solo della mia esperienza di volontariato presso il centro di accoglienza di Fratel Ettore Boschini e come attivista in difesa dell’ambiente e degli animali, ho fatto un salto senza rete: mi sono licenziato e ho creato un’associazione di “angeli di strada”, anzi i “City Angels”, in inglese, perché il mio sogno era, già da allora, che nascessero sedi anche all’estero. Attualmente siamo presenti in 20 città italiane e 2 in Svizzera.

Chi sono i City Angels e di cosa si occupano?

Sono circa 600 volontari, di cui più della metà donne, che operano sulle strade e una decina di dipendenti che gestiscono il centro di accoglienza “Elio Fiorucci” (famosissimo stilista e amico, che ha creato anche il logo dell’Associazione)  in Via Gino Pollini a Milano, dove  abbiamo la necessità di garantire la continuità del servizio e la presenza di figure professionali specializzate come il medico, l’infermiere, il mediatore culturale, l’assistente sociale, etc. La nostra missione è duplice: aiutare i bisognosi (dal portare cibo e coperte ai senza fissa dimora all’aiutare una persona anziana ad attraversare la strada) e contrastare la criminalità in collaborazione con le forze dell’ordine.

Come sono cambiate le necessità e le emergenze nelle grandi città negli ultimi anni?

Purtroppo il problema dell’immigrazione e la mancanza d’integrazione spesso si traducono in atti di violenza e microcriminalità (l’80% dei reati è commesso da stranieri). Inoltre lo Stato ha sostanzialmente rinunciato a perseguire i piccoli crimini (furti, borseggi, scippi, etc.) e chi li commette conta sul fatto di rimanere impunito. Per cambiare davvero le cose bisogna da una parte lavorare sull’integrazione e sul recupero dei criminali e dall’altra definire e far rispettare delle leggi che puniscano severamente i reati di strada, che sono quelli più impattanti sulla gente comune. Proprio per cercare di trovare delle soluzioni ho fondato qualche settimana fa, con un gruppo di amici, magistrati e avvocati, il “Comitato per la legalità”.

Come vi sovvenzionate?

Siamo aiutati da imprenditori, professionisti e privati che ci sostengono con le donazioni e con il 5×100, per permetterci di poter operare e sostenere le spese, anche perché le istituzioni, purtroppo, ci finanziano sempre meno.

Nel 2001  avete istituito il Premio Campione, di cosa si tratta?

E’ un prestigioso premio nazionale, che viene assegnato da una giuria composta dai direttori delle principali testate giornalistiche italiane, a chi si sia distinto come “campione” della solidarietà, legalità e civismo. Nell’ultima edizione abbiano premiato Nico Acampora, il proprietario di PizzaAut, che ha aperto un ristorante a Milano gestito da ragazzi autistici.

Il concetto di responsabilità individuale per te è centrale. Da giovane credevo nelle rivoluzioni, oggi solo in quelle interiori,

che ci portano a essere in prima linea, ognuno in base alle proprie possibilità e capacità, per migliorare questo pianeta e aiutare chi ha bisogno. Come diceva Ghandi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Quarantotto pagine, patinate e a colori. Un sito agile ed intuitivo. Free-press bimestrale e giornale online, per un'Irpinia come non l’avete mai vista. Che siate irpini, oppure no