Gianluca Tucci – Assistant coach da serie A

 Gianluca Tucci – Assistant coach da serie A

Trento – venezia

Lo sport scorre nelle sue vene da sempre. La pallacanestro è, per lui, una forza innata, un banco di prova costante, il motore dei valori che caratterizzano la sua vita. Classe 1970, originario di Avellino, Gianluca Tucci è da sei anni assistant coach di Walter De Raffaele, allenatore della Reyer Venezia, la principale società di pallacanestro della Laguna, militante in Serie A.

Da quando è approdato alla Reyer, il club ha vinto due scudetti, nelle stagioni 2016-17, 2018-19, la Coppa Italia 2020 e la FIBA Europe Cup 2017-2018.

Il suo esordio come capo allenatore avviene nella Società Sportiva Felice Scandone Avellino nel 1993 (a soli 23 anni), dopo cinque anni dedicati al settore giovanile e tre alla prima squadra da assistente. Un’esperienza che lo ha forgiato come uomo e come professionista e che gli ha permesso di assaporare la splendida scalata della Scandone dalla serie B1 alla Legadue, fino gli anni floridi della serie A.

Dopo aver allenato in tante altre piazze (Latina, Trapani, Montecatini, Argenta per citarne qualcuna), è rientrato alla Scandone dal 2012 al 2014, per poi proseguire nuovamente fuori dalla città natale.

Quando è nato il tuo amore per lo sport?

“Sin da piccolo amavo stare all’aria aperta. Ancora oggi, quando posso, mi dedico alla corsa, una sorta di ricarica per la mente e per l’anima. Partecipo anche ad alcune maratone come quella di Venezia realizzata lo scorso ottobre. Una vera boccata d’ossigeno, un segno tangibile di ripresa dopo mesi di paura dettati dall’emergenza Covid”.

Quando nasce, invece, il tuo legame con la pallacanestro?

“È stato un incontro casuale. Ero in quarta elementare e portai a casa un volantino: una raccolta di adesioni per partecipare ad un corso di basket. Mi sono iscritto quasi per gioco, perché a quell’età era giusto dargli quel valore. Da lì, però, è nata la mia più grande passione e poi, con il passare degli anni, quella stessa passione ha lasciato spazio a scelte più importanti. Il basket è diventato una professione, il mio lavoro. A 21 anni avevo già conseguito la qualifica di allenatore nazionale. Nel frattempo giocavo ed allenavo e, poi, ebbi la fortuna di accelerare il mio percorso esordendo come capo allenatore per la Scandone”.

Cosa ti ha insegnato il basket?

“La pallacanestro è un continuo lavoro di squadra. Il protagonismo non è accettato, se vinci lo fai insieme a tutti i suoi componenti, allenatore compreso. E’ energia e velocità. In una partita bastano poche frazioni di secondo per ribaltare un risultato, il ritmo del gioco è dettato dal possesso di palla, dalla sinergia che unisce i giocatori in campo. Attenzione, allenamento costante e determinazione sono le carte vincenti. E’ importante che un ragazzo faccia sport proprio per questi motivi ed abbracci nel gioco, come nella vita, il senso della condivisione e della sana competizione. Poco importa se sei giocatore o allenatore, il livello di coinvolgimento è davvero altissimo, e la mano dell’allenatore è visibile anche in campo”.

Parliamo del tuo esordio, che ricordo hai della Scandone?

“Ha rappresentato la realizzazione del mio sogno da bambino. Sono stati sicuramente anni bellissimi sia sotto l’aspetto professionale che umano. Con molti giocatori ho instaurato un legame di profonda amicizia ancora persistente: Freda, Zuccardi, Pavone, Totaro, Festa (l’attuale sindaco di Avellino) e tanti altri. Eravamo una vera famiglia, ogni sacrificio era condiviso ma avevo già capito, a malincuore, che la mia carriera sarebbe proseguita altrove. Pensa, quando ritornai nel 2011, ho riunito tutto il ‘vecchio gruppo’ di amici per formare una squadra di basket amatoriale dal nome CVB. Ancora oggi basta ripetere questo acronimo per far capire quante buone intenzioni e che amore profondo ci lega. Ovviamente CVB significa “Ci Vogliamo Bene”. In campo come nella vita non c’era nessuna invidia tra di noi, e non solo ad Avellino. I miei migliori amici, sparsi un pò in tutta Italia sono colleghi, dirigenti e giocatori”.

Il triste epilogo della Scandone ti ha segnato…

“Quando ritornai nel 2011 come assistant coach avevo il massimo dell’entusiasmo e ho vissuto, in particolare, una salvezza soffertissima che è valsa quanto uno scudetto. Presentai anche un corposo progetto per il settore giovanile. Purtroppo quelle mie idee rimasero chiuse nel cassetto del Club. Un vero peccato perché il basket stava crescendo in città e in provincia, e mi riferisco alla tifoseria (apprezzata e riconosciuta in tutta Italia) e alle tante società sportive emergenti, alle migliaia di giovani appassionati. Eppure l’eredità di tanti anni di serie A è svanita, chi si è succeduto non è stato in grado di lasciare alla città né una palestra, né un playground all’aperto, né tanto meno un serbatoio di ragazzi pronti per ripartire. Però ho grande fiducia nella passione dei miei concittadini. Aver dovuto giocoforza restituire la Scandone agli avellinesi sicuramente farà rinascere il movimento con maggiore attaccamento ai colori della nostra terra”.

Parliamo del tuo presente

“Sono orgoglioso del mio percorso. Ho raggiunto quota 1000 panchine, ho girato tutto lo Stivale, questa è un pò la vita ‘nomade’ di un coach. Con Venezia sto vivendo l’esperienza più appagante in assoluto. Sono arrivato in Laguna grazie a coach Walter De Raffaele, con cui condividiamo anche una forte amicizia. Insieme organizziamo il lavoro quotidiano e programmiamo il futuro da sei intensissime stagioni. Milito in una società che sa riconoscere il merito, ed in questi anni i risultati ci hanno dato ragione. Il progetto della Reyer Venezia è a 360 gradi, qui esiste un settore giovanile di prima fascia, c’è una prima squadra femminile che gioca in Eurolega con lo scudetto sul petto, abbiamo tre giocatori nella nazionale maschile, molte ragazze in quella femminile e, si guarda sempre avanti. L’ultimo passo da fare è la realizzazione di un nuovo Palazzo dello Sport (quello attuale, con soli 3500 posti, non soddisfa le esigenze della città). È un club che merita grande rispetto. Ho trovato un ambiente sano, competente e umile”.

Come è organizzata la tua settimana tipo?

“Da metà agosto a fine giugno ci alleniamo tutti i giorni, non ci sono giornate ‘off’. Il sacrificio è alla base di tutto. Facciamo nel club molte riunioni video, sia di squadra che individuali, spesso porto il lavoro a casa fino a notte fonda. Eppure cerco di trovare il tempo per le altre mie passioni: leggere di fantascienza, avventura e storia, scrivere racconti, o coltivare interessi sempre nuovi come la chitarra e le escape rooms”.

Come riesci a conciliare i tanti impegni con la tua vita privata?

“Mia moglie Giovanna è una persona splendida, unica, e di grande sensibilità. Con lei vivo una profonda simbiosi dal momento in cui ci siamo incontrati. Un matrimonio reso speciale anche dal rispetto e dall’amore per lo sport. Corriamo insieme, amiamo il contatto con la natura e appena abbiamo la possibilità di fuggire raggiungiamo il mare, quello dei tropici o quello dei nostri amici siciliani. Ho allenato due anni a Trapani e due a Palermo, esperienze di lavoro e di vita che hanno lasciato il segno, tant’è che consideriamo la Sicilia la nostra seconda casa”.

Quante altre città sarai destinato ad allenare e a vivere?

“Non mi è dato di saperlo, certo la curiosità anima ogni mio spostamento e anche ogni duro trasloco. Però, tutte le volte che posso, torno ad Avellino e alla mia famiglia di origine. Ho una grande nostalgia di mio papà scomparso prematuramente, col quale avevo un legame speciale, adoro la mia dolcissima mamma e i miei fratelli, e in estate rinnoviamo da anni la tradizione di riunire l’intera famiglia”.

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